La trama (presa qui): quando ha commesso il suo primo omicidio Alësa era solo un bambino al
quale la vita aveva già tolto tutto. Da quel giorno non si è più
fermato, e nel suo occhio è comparsa una macchia nera dentro la quale
precipita poco a poco la realtà. Ha l'attitudine del cacciatore, vive
solo, viaggia leggero, non scappa davanti a nulla. L'unica fuga che si
concede sono le pagine dei grandi romanzi, il luogo in cui immaginare
cosa si prova a essere davvero umani. Da anni lavora come killer al
servizio di Rakov, adesso però vorrebbe dire basta, essere finalmente
libero. Ma è proprio Rakov a fissare il prezzo di quella libertà:
commettere un altro omicidio - l'ultimo -, a Milano. Una missione che
sembrerebbe da principianti, e che invece lo costringerà a mettere in
discussione tutte le sue regole: quelle del codice criminale e quelle
che lui stesso si è imposto, coltivando una solitudine perfetta. Ad
affiancarlo in quell'ultima missione ci sarà Ivan, per volere di Rakov.
Un ragazzo che ha la faccia pulita, i modi impacciati, un talento
naturale per fargli perdere le staffe e un'inscalfibile determinazione a
conquistarsi la sua fiducia. Peccato che Alësa non si fidi di nessuno,
nemmeno di sè stesso.
Ho amato profondamente il Lilin della "Trilogia siberiana" e in questo romanzo ho ritrovato i temi a lui cari: la criminalità russa, la corruzione, la guerra, l'Unione Sovietica del dopoguerra.
È la storia, bella e infelice allo stesso tempo, di un uomo che cerca il riscatto da una vita di violenza e che mette in discussione tutto quello in cui ha creduto fino a quel momento. Un racconto molto crudo, in cui si intrecciano scene brutali e pensieri profondi.
La trama è forse un po' rallentata dai ricordi nostalgici e dolorosi dei due protagonisti, ma ne esce comunque una lettura coinvolgente, con un finale assolutamente a sorpresa.
Da consigliare solo a chi ama il genere e non è facilmente impressionabile.